Sono finite le scuole (ho fatto la prima elementare) e così per giocare scendo giù al supermercato dei miei genitori. Solo che lì ci sono i clienti, che mi dicono le stesse cose dei parenti e di tutti gli altri che mi incontrano: «Allora? Sei contenta?» «No.» Ridono. «Che simpatica!» Ma quale simpatica? Io non sono contenta e basta. Mica scherzo! Che scocciatura, tutti quanti. A casa dicono che ormai manca poco, e io sono sempre più stranita. Faccio finta di niente, mi sa che è meglio.

Mamma l’altro giorno è partita, ma mi ha detto che torna presto. Io non posso andare a trovarla, dicono che sono troppo piccola. Solo mio fratello può andare, con papà. Continuano a essere tutti contenti, anzi sono più contenti ancora, dall’altra sera, quando ha telefonato zia e ha parlato con mio fratello. Lui lì per lì non era molto contento, però, anzi mi è sembrato che fosse davvero arrabbiato. Ma il giorno dopo papà l’ha portato da mamma e lui ha cambiato idea. Non so perché. E comunque non mi importa.

Le mie sorelle oggi erano impazzite del tutto. Mi hanno detto che papà era andato a prendere mamma, e stavano tornando a casa. E infatti dopo un po’ siamo andati tutti giù, fuori dal portone, perché era arrivata l’automobile. Papà è sceso e ha preso la valigia di mamma. E anche mamma è scesa. Era diversa. Non aveva più la pancia di prima e aveva un fagotto in braccio. S’è abbassata: «Vedi che bella la sorellina?». Ho dato un’occhiata, con l’aria un po’ schifata, e me ne sono tornata a casa, senza dire nulla.

Dicono che mio fratello quella sera s’era arrabbiato perché voleva un fratellino. In effetti, negli ultimi mesi tutti dicevano che stava arrivando Antonio. E invece poi era una femmina. Comunque, per me è lo stesso, tanto non ci faccio niente. È lì in quel lettino con le retine alte. Ogni tanto infilo la mano nella retina e le do una “schicchera” sul naso e lei si sveglia e urla che sembra una sirena. Mamma corre là e le chiede perché piange. Ma tanto lei non risponde. Non sa parlare. Non sa neanche muoversi. Non sa fare niente.

Ormai è un po’ che è arrivata. Ha tanti capelli, sempre scompigliati, e i buchetti sulle guance e il naso a palletta. Va in giro a quattro zampe che sembra un gatto. Poi prova a camminare e cade sul sedere, e ride. Ride anche con me e si diverte da matti quando gioco con lei. Non sa parlare, però ci capiamo. Qualche volta mi fa arrabbiare perché rompe le mie cose, strappa i miei fogli. Dicono che non lo fa apposta. E mi sa che hanno ragione. Infatti non riesco a restare arrabbiata. Sarà che poi mi guarda in un modo che non so spiegare perché ma mi piace tanto e mi fa venire voglia di abbracciarla, ché è pure morbida e profumata.

Io pensavo che le sorelline fossero tutte uguali, come quelle che hanno altri bambini della scuola. Invece no: la mia è più bella, più bella anche di tutte le bambole che vendono papà e mamma al supermercato, più bella delle bambole che hanno le bambine che conosco o di quelle che si vedono alla televisione. Adesso ha anche iniziato a chiamarmi: “Iaia”, dice, e ride. È buffa, e rido pure io. Avevo avuto un bambolotto quand’ero ancora più piccola. Ma dopo che è arrivata lei non ho più avuto altre bambole, non ne ho volute mai. Perché all’inizio non l’avevo capito, ma dopo sì, dopo l’ho capito, che mamma e papà mi avevano regalato una bambola davvero speciale, quell’estate del ’71.